Alle Terre Alte

Terre alte, luoghi lontani e quasi dimenticati, spazi una volta abitati che, dopo anni di fughe, isolamento, storie di povertà e subalternità alla città, giacciono abbandonati come risorse preziose ormai inutili, scartati o imbalsamati in inabitabili e retoriche musealizzazioni stereotipizzanti. Gli ultimi anni stanno tuttavia testimoniando un insperato ritorno alle Alpi, a quei suoli e manufatti che forse proprio perché abbandonati tornano ad essere potenzialmente disponibili quali risorse produttive e spazi di vita, luoghi in attesa di un destino diverso e finalmente pronti ad accogliere un ripopolamento per una nuova alpinità. L’alba di questo possibile ritorno all’insediamento rurale, insieme alla necessità di ritrovare forme di cura dell’architettura del territorio alpino, rivolge alla contemporaneità interrogativi sempre più urgenti in cui lo strumento del progetto e la disciplina architettonica possono avere un ruolo decisivo, ritrovato. La presente ricerca tenta così di sollevare questioni, identificare strategie e progetti che possano aiutare ad individuare metodologie operative e strategie trasformative in grado di permettere ed indirizzare questo ritorno alle terre alte, prefigurando con appropriatezza le modificazioni che esso comporta. La multidisciplinarità dell’esperienza effettuata testimonia inoltre la complessità delle problematiche da affrontare e definisce limiti e possibilità, talvolta inattese, della disciplina architettonica che, più di ogni altra, può essere eletta a luogo di confronto e spazio condiviso per l’incontro di saperi diversi dove poter riconoscere anche alle pratiche alpicolturali e al sapere contadino la dignità di vere e proprie pratiche costruttive del territorio. Tra approfondimenti teorici e un progetto su un’interessante porzione di territorio alpino italiano, come la piccola Val di Bresimo, la tesi tenta di mettere a punto una metodologia di lavoro che, di fronte ad un brano di territorio rurale montano con diversi fenomeni di abbandono, sappia riconoscere le forme dell’architettura di questo territorio, identificare ciò che è abbandonato, immaginare come i suoli abbandonati possono essere riusati in quanto risorse produttive, identificare gli edifici abbandonati che possono fungere da elementi generatori di un riuso territoriale e individuare strategie e progetti che permettano a manufatti nuovi ed esistenti di tornare ad essere presidio di una nuova ruralità. L’importante collaborazione con la Fondazione Edmund Mach, ente di ricerca nel campo dell’agricoltura e dell’allevamento di montagna, ha inoltre garantito e offerto competenze specifiche nella lettura dei territori e nella prefigurazione strategica dei possibili ritorni produttivi, aiutando a individuare un metodo la cui generalità non permette di scadere in soluzioni atopiche ma richiede sempre risposte puntuali e progetti locali che, nel caso studio specifico, si spingono fino alla scala propriamente architettonica, immaginando qualità tettoniche e consistenze materiche. L’architettura, in questo contesto, è così interpretata come disciplina in grado di guardare strategicamente ai territori e allo stesso tempo come strumento in grado di agire alle scale più minute, trasformando piccoli manufatti in nuovi poli generatori di un ritorno alla cura di territori alpini ora abbandonati. Nella consapevolezza che le terre alte chiedono destini nuovi, l’architettura non può però essere eletta a unica disciplina in grado di prefigurare nuovi scenari ma può conquistare un ruolo centrale ed essere inoltre immaginata come strumento capace di accogliere le altre discipline cosicché, tra piccoli progetti e grandi trasformazioni attuate attraverso pratiche costruttive diverse, si possa ricostruire l’architettura dei territori abbandonati, ritrovare spazi e risorse dimenticate, riallacciare il legame tra produrre ed abitare, immaginare un ritorno alle terre alte.

"Terre alte" are places almost forgotten, inhabited spaces that, after years of marginalization, poverty and subordination to the city, lie abandoned as useless, but yet priceless, resources, sometimes lowered to a stereotipe exhibition. However, in the last few years we are facing an unexpected return to the Alps and to soils and artifacts that, because abandoned, could become productive resources and living spaces; destinations eventually ready to welcome a different fate and a new generation of peasants. The arising of new models of rural settlements, together with the need to find forms of care of the alpine territory and its architecture, caters questions more and more urgent to our times. The design instrument and the discipline of architecture can play a decisive and recovered role. This research attempts to work on the problem of recolonization of the rural abandoned landscape, it tries to identify strategies and projects that can help identify operational methods and transformative strategies that would allow new inhabitants to occupy abandoned highlands, managing the transformations that it involves. The multidisciplinary approach of this thesis can also demonstrate the complexity of the issues, and helps identify limits and powers of the architectural discipline that, more than any other, can be elected as common ground for different know-hows, where agricultural practices and farming could also be acknowledged as constructive practices of the territory. Between theoretical essays and a project on an interesting Italian Alpine valley, the tiny Val di Bresimo, the thesis attempts to develop a methodology that, in front of rural abandoned mountain territory, analyzes the open space and the built up space, identifies what is abandoned, imagines how the abandoned soils can be reused as productive resources, identifies the abandoned buildings that can generate a reuse of the land, and finds strategies and projects that allow, to new architecture and existing buildings, to become generators of a new rurality. The important collaboration with Edmund Mach Foundation, a research institution in the field of agriculture and farming in the mountains, has also offered expertise in prefiguring the agricultural production strategies, helping identify a general method that always requires specific answers and local-focused projects avoiding atopic solutions. Therefore architecture, in this context, can be interpreted as a discipline able to look strategically to the territories and, at the same time, as a tool able to act at the human scale, turning small artifacts in new generator poles of the productive return to the abandoned rural landscapes. Architecture can not be elected as the only discipline able to imagine new scenarios for abandoned rural territories that are asking us for a completely new fate, but it can earn a central role and manage the inclusion of the other disciplines, so through small projects and large scale transformations a come back to the highlands could be conceived. Therefor the architecture of these abandoned territories could be rebuilt, forgotten spaces and resource recovered and the link between land and living restored.